io dove vado e tu dove vai / PiStIn n.5

C’era una volta un uomo cieco che si chiamava Alfio e che viveva con un cane con un occhio blu e l’altro marrone. L’uomo cieco passava molto tempo nella sua casa di una sola stanza e aveva un amore di nome Asia; si erano conosciuti nella sala d’aspetto di un medico con la voce bassa e un naso enorme.

Asia faceva ad Alfio lunghe telefonate e non andava mai a trovarlo perché, diceva, aveva molta paura di perdersi lungo la strada. La sua paura grande era di non riconoscere, tutto a un tratto, le strade e i palazzi, insomma, che la sua memoria uscisse dalla sua testa e volasse via da lei per sempre. Così diceva: se la mia memoria vola via, io dove vado e tu dove vai?

Asia chiamava Alfio tutti i giorni alle nove di sera; la sera, diceva, è quando le cose e le persone finalmente si fermano perché ciò che è fatto è fatto, e ciò che non è fatto forse sarà. La sera era la fetta più importante della giornata.

Prima di rispondere, Alfio afferrava il telefono e andava a sedersi vicino alla finestra, se era estate, e il suono delle cicale diventava la loro colonna sonora, o vicino al calorifero, se era inverno, e allora insieme immaginavano di scaldarsi corpo a corpo. Quando sentiva la voce della sua Asia, il mondo di Alfio si espandeva in direzioni plurime e anche le cicale che cantavano, o il calorifero vicino al quale sedeva, diventavano generosi. Parlavano delle loro giornate e dei mondi che nascevano nella loro testa e del peso dell’amore quando è distante. Il cane dell’uomo cieco, intanto, a volte sonnecchiava e a volte fingeva di essere distratto.

Alle nove di sera di un giorno d’estate Asia non chiamò Alfio, e allora lui la chiamò il giorno dopo anche se non erano le nove di sera, la chiamò per tutto il giorno e la sera ma lei non rispose; il giorno dopo ancora lei non lo chiamò e ancora lui la cercò per tutto il giorno e per tutta la sera, senza trovarla; e così via per settimane che divennero mesi fino a inverno inoltrato. Il telefono rimase muto; il cane dell’uomo cieco era molto attento a come stavano andavano le cose nel mondo chiuso in quella stanza.

Del cane con un occhio blu e l’altro marrone si dice che leccò il viso immobile del suo padrone e gli respirò nelle narici, e poi si sedette al suo fianco, vicino alla finestra dalla quale entrava il calore di un sole fiacco; le gambe della sedia ribaltata erano tese dentro l’aria della stanza, e l’aria della stanza aveva l’odore spesso e marcio della vita quando se ne è andata. Il cane aspettò che succedesse qualcosa, e quando il telefono suonò per la prima volta dopo tanto tempo, iniziò a ululare così tanto che poi, per il resto della sua vita che fu molto lunga, non ululò mai più.


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