C’era una volta

Sono giorni che mi dico che è il giorno giusto per scrivere una nuova Piccola Storia Inutile, e nella mia testa inizio a dirmi C’era una volta, ma poi lì mi fermo e non vado più avanti. Ora le piccole storie di persone incontrate per caso sfuggono dalla mia presa e non so dire bene, e cioè con esattezza, da quando è iniziata questa precoce dissolvenza, se da tre settimane o tre mesi o da tre anni. Sarà iniziata piano piano: i corpi muoiono piano piano anche quando ci sembra sia successo all’improvviso; al riparo dagli sguardi e dalle parole – felici o infelici che siano – in silenzio si lasciano andare qua e là un pezzettino alla volta. Succede a tutti i corpi che in qualche modo sono stati vivi, non necessariamente toccabili e tracciabili in modo definito e definitivo. Noi che siamo fuori da quei corpi vorremmo che il saluto fosse sempre un arrivederci ed è per questo che non concepiamo la parola addio. Nella parola addio detta o pensata verso qualcuno o qualcosa c’è anche una piccola dose della nostra stessa morte, un assaggio indesiderato.

La mia immaginazione è logora e non è per via del caldo dell’estate e nemmeno per chissà quale fatica giornaliera. La parola logora è importante e precisa, non va confusa con altre più ammiccanti per via della loro facile bidimensionalità.

Le mie Piccole Storie Inutili erano storie che nascevano all’improvviso: schizzi rapidi di persone o situazioni incontrate da poco e per poco tempo. Erano precoci a nascere e non avevano la pretesa di diventare altro, certamente non di crescere. L’ultima Piccola Storia Inutile che ho scritto risale al 13 luglio del 2022. Questo è il giorno racconta di un uomo che ho visto seduto per terra sotto la pensilina di un bus. Racconta di come l’ho visto io con gli occhi miei intrisi di domande e immaginazione. Quell’uomo lo ricordo bene ancora oggi: ricordo la luce di quella giornata sulla piazza alberata; ricordo le persone che dall’uomo si tenevano a distanza; ricordo il mio camminare lungo il marciapiede e guardare l’uomo per qualche secondo: i suoi tatuaggi e i capelli sporchi, gli occhi rossi e il corpo ammorbato dall’alcol.

Nel 2022 il mio mondo immaginativo era pieno di piccole persone che avevano qualcosa da raccontare: le trovavo ovunque andassi e per me erano sempre le benvenute. Mi bastava vederle per qualche secondo – il tempo di un gesto o di una frase pronunciata al telefono – che presto iniziavano a volteggiare nella mia testa e allora io appena potevo le mettevo sulla pagina per vederle meglio e con calma, per conoscerci, e anche loro placavano un poco le loro ossessioni e i loro dolori, a volte ridevano e facevano all’amore come ragazzi incoscienti tra i boschi.

Sono passati tre anni dalla scrittura di quella piccola storia e fatico a credere che sia passato così tanto tempo. In questo tempo sono stata altrove, ma dove esattamente? Dove, a parte nei luoghi di un romanzo pubblicato e portato un po’ in giro con grande fatica, e poi nei luoghi di un altro romanzo che ha fatto una brutta fine e a proposito di questo romanzo a volte di me penso Davvero ti aspettavi una fine diversa nei Balcani di quegli anni? E poi sono stata dove mi ha portata la scrittura di un altro romanzo del quale in fondo potrei dire che non è mai esistito. Mi sembra di aver fatto un giro lunghissimo e alla fine di non essere stata da nessuna parte.

Dal 2022 a oggi sono stata altrove e poi mi sono persa e ora non so più tornare dove una volta c’ero io che lì stavo bene perché quello era il mio piccolo mondo un po’ vero e un po’ finto che girava e girava nella mia piccola testa, e lì tutto aveva un senso possibile e ancora avvicinabile. Lì, una volta, c’ero io.


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