La mia Milano [#16]

Ieri a Milano c’era un sole splendido e c’erano anche i fantasmi. Questa mattina, al risveglio, ho pensato io non ci vado più, a Milano; io, la prossima volta, rimarrò per sempre nella mia provincia brianzola tempestata di villette bifamiliari e capannoni.

Dalla mia macchina, ieri ho di nuovo tirato i fili: Milano è L. che una mattina di primavera scompare tra i campi di periferia; è G. in piazzale Abbiategrasso con l’ennesima lattina di birra; è P. in corso di p.ta Romana con la pancia piena di un figlio al quale diceva che avrebbe dato un nome inglese perché “magari diventa elegante, un signore”, e poi quel figlio con il nome elegante, ho saputo, glielo hanno portato via. È M. in via Padova con la faccia spaccata che mi dice non è niente, poi passa, ma io so che non è mai passata. Milano è D. che dopo avermi baciata mi dice di suo padre giudice e che per questo, per il lavoro che fa suo padre, dovranno partire e non potremo più stare insieme; è io che pochi anni dopo vengo a sapere che a Milano, D., un giorno ci è tornato da solo, e a Milano, nella sua stanza, ci è rimasto con un nodo stretto attorno al collo; dalla sua camera si vedeva il Castello Sforzesco e i suoi baci erano leggeri, timidi.

Milano è mio padre che un giorno mi porta sul Duomo e qualche ora dopo torna nel suo mondo e il suo mondo, se ne assicura, non dove toccare il mio se non di sfuggita, per qualche ora. Milano è mio fratello che un giorno mi chiede se l’abito elegante nuovo di zecca gli sta bene, e qualche mese dopo è in ospedale; e perciò Milano è anche io – ecco il fanstama di me stessa scendere dal tram – che appena posso e come posso cerco di prendermi cura di lui e mentre lo faccio penso lui guarirà da questa malattia lui vivrà lui non morirà, anche se so – perché lo sapevo, era scritto ovunque e lo dicevano anche al telegiornale – che non sarebbe andata a finire così.

Milano è tutti i mondi che ho attraversato, dalla mensa per poveri e dormitori di fortuna fino al Teatro alla Scala dove una sera sono entrata e dal quale non avrei voluto più uscire. Questa mia città è tutte le strade che ho percorso con la speranza di perdermi; è una linea del tempo imperfetta e senza soste.

Dalla mia macchina, ieri, ho pensato fantasmi andate via, lasciatemi respirare; vi voglio bene e mi dispiace per tutto quello che è successo e anche per tutto ciò che non è mai accaduto, ma ora, per favore, andate via.

Questa mattina, al risveglio, mi sono detta io non lo voglio più fare: io non voglio più tornare a Milano perché non voglio più tessere questa ragnatela nella quale sempre più spesso io stessa rimango intrappolata.

Ma non è così che andrà. La settimana prossima, per cominciare, io ci tornerò e davanti a un pubblico di ascoltatori non dirò nulla di tutto questo che è solo mio; non dirò che il dolore crescente che sento ogni volta che torno a Milano dice anche dell’amore che ho provato.

Forse parlerò di una città che è strato su strato e che è tanti mondi possibili, tutti abitabili se si è capaci di accettarne la possibilità, e che a volte è difficile e ti stanca, e ci litighi, e vorresti lasciarla ma in fondo non è vero che lo vorresti, lo dici tanto per dire in un momento difficile da affrontare. Hai, al contrario, paura di perderla; e se un giorno pensi di averla perduta per via dei chilometri di separazione, lei ti rimane dentro e ogni tanto ti chiama e ti parla con la stessa forza dell’amore quando è per sempre.

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