7. La lingua tagliata [2/2]

L’obiettivo di questa seconda ed ultima parte è quello di illustrare come un trauma importante, in questo caso da abuso sessuale in età infantile, può compromettere alcune specifiche aree del cervello.

Al fine di garantire la sopravvivenza dell’individuo, il cervello umano può mettere in atto strategie difensive che possono essere diverse da persona a persona. In condizioni di estremo pericolo le persone possono quindi urlare o chiamare aiuto, ma possono anche “spegnersi”. Il tipo di reazione è una risposta automatica del cervello e trascende la volontà conscia, ragionata dell’individuo.

The hearth of trauma is dissociation, così scrive Bessel van der Kolk nel suo The Body Keeps the Score (dal quale le immagini qui presenti sono state tratte).

TRAUMA INTEGRATO, TRAUMA NON INTEGRATO e DISSOCIAZIONE

Si parla di trauma integrato quando il ricordo riemerso dell’evento traumatico fa sì che la persona possa imparare dall’esperienze e mettere in pratica azioni riparatrici (accomodamento) o quando l’evento traumatico viene accettato come un’esperienza con un inizio, uno svolgimento e soprattutto una fine (assimilazione). Un ricordo integrato è un ricordo che riusciamo a raccontare senza troppe criticità, senza incorrere in uno stato di stress tale da, per esempio, impedirci di andare avanti o comunque senza essere travolti da emozioni fortemente disturbanti e che quindi si trasformano in vero e proprio impedimento al proseguo del nostro racconto e della nostra vita.

Ma il tipo di meccanismo di difesa che si innalza durate e dopo l’evento stressante non è uguale per tutti, e dipende da fattori quali il livello di sviluppo globale della persona (quello di un adulto è ben diverso da quello di un bambino) e da un mix di fattori legati al carattere e al contesto. E ciascuna persona traumatizzata sviluppa le proprie forme di difesa per affrontare il riemergere improvviso e involontario di ricordi indesiderati.

La dissociazione al momento del trauma è un meccanismo di difesa estremo frequente nel caso di eventi stressanti quali l’abuso sessuale (ed è uno dei fattori predittivi dello sviluppo del PTSD: post-traumatic stress disorder). È l’equivalente dei blackout salvavita dei circuiti elettrici delle nostre case.

Permette alla persona vittima di non essere totalmente presente, o di osservare l’accaduto come se fosse uno spettatore, e quindi di non percepire, o percepire solo in minima parte, il dolore e lo stress. È una forma di protezione dalla consapevolezza di ciò che sta accadendo. La ricerca clinica ci dice che è una risposta molto diffusa tra le vittime di abuso sessuale in età infantile, in particolare tra le vittime di incesto: una volta adulte dichiarano di aver osservato dall’alto una versione di loro stessi mentre venivano vittimizzate.

Al momento del trauma è una protezione estrema (tutti gli altri tentativi sono falliti o sono stati considerati dal cervello fallimentari) ma efficace perché fa sì che il soggetto non impazzisca totalmente in quel momento preciso; allo stesso tempo è anche un’arma a doppio taglio perché ostacola, ad evento accaduto e passato, il processo di integrazione del fatto traumatico nella vita della persona, che non sarà quindi in grado di affrontarlo come un evento sì doloroso ma che dopo il suo svogliamento ha avuto anche una fine. Si parla quindi di trauma non integrato.

Un trauma non integrato alla realtà del soggetto finirà per avere vita autonoma e parassitaria, rendendo il soggetto suo malgrado fortemente influenzato dall’esperienza traumatica passata. La memoria del trauma passato interferisce con la capacità di dare la giusta attenzione al tempo presente, sia esso fatto di situazioni nuove o non nuove. Nel caso di una mancata integrazione, quindi, sensazioni, immagini ed emozioni legate al fatto traumatico iniziano a vivere una vita indipendente dal presente della persona che ne soffre, e tornano improvvisamente (flashbacks, stati di ansia e terrore apparentemente ingiustificati, rabbia) causando un aumento dei livelli di stress e una compromissione generale della vita.

Per la vittima è come se l’evento traumatico in sé si stesse riproponendo in tutto e per tutto, come se non fosse passato nemmeno un giorno da quel giorno. Il passato non esiste, è tutto di nuovo nel presente. Arriva a influire su comportamenti ed emozioni, sullo stato psicologico complessivo della persona e di conseguenza anche nelle relazioni interpersonali, siano esse amicali, amorose o professionali. È una vera e propria tirannia del passato, e il presente altro non è che un campo minato in cui stimoli di per sé innocui diventano tutti potenziali fattori esplosivi (triggers).

Come si vede dall’immagine qui sopra, la dissociazione può scatenarsi anche come risposta a un invito a ricordare l’evento, e comporta, anche a distanza di molti anni dal fatto, una drastica diminuzione di attività di ogni area cerebrale.

La dissociazione non si sceglie, accade al di là della volontà razionale ed è una risposta umana.

AREA DI BROCA

Nell’emisfero dominante del cervello umano c’è la cosiddetta area di BROCA, che nella maggior parte delle persone è localizzata nel lobo frontale sinistro della corteccia prefrontale. Prende il nome dal neurologo Paul Broca, che tra il 1860 e il 1863 documentò casi clinici di pazienti affetti da afasia (assenza di linguaggio) e che a un esame del loro cervello mostravano tutti un danno oggettivo in questa zona del cervello.

L’area di Broca è responsabile della produzione del linguaggio: trasforma i pensieri in parole e coordina i movimenti facciali necessarie all’articolazione verbale. Se l’area di Broca non è attiva, l’essere umano non è in grado di tradurre in parole pensieri ed emozioni.

Oggi è possibile, grazie alla diagnostica per immagini, fotografare le risposte che il cervello dà a diverse situazioni.

È stato dimostrato che ogni volta che vengono attivati dei flashback dell’evento traumatico, l’attività dell’area di Broca diminuisce sensibilmente fino a spegnersi. Si ha così quello che viene definito speechless horror: il terrore (emozione connessa all’evento traumatico ricordato) impedisce alla persona di parlare.

Nel caso di bambini traumatizzati ai quali è “cascata la lingua”, può svilupparsi una forma di mutismo selettivo: al bambino cascherà la lingua ogniqualvolta si troverà nel contesto nel quale viene abusato. (La protagonista di Senzanome ne soffre, quando è con la madre o in situazioni di abuso simili, ma il suo silenzio viene interpretato in senso positivo, o addirittura vantaggioso, dagli adulti che la circondano.)

Anche molti anni dopo l’evento traumatico, le persone possono andare incontro a molte difficoltà nell’articolare il vissuto: nel processo di richiamo alla memoria, il corpo rivive il terrore, la rabbia, la disperazione, e così anche l’impulso primario di combattere o fuggire.

La difficoltà di articolazione verbale, dovuta alla diminuzione dell’attività dell’area di Broca, comporta una difficoltà a organizzare il racconto in modo lineare e coeso. Al posto di un racconto con un inizio, uno svolgimento e una fine, avremo, nel caso di un minimo di articolazione, dei frammenti.

Ma quando le parole mancano, le immagini restano e sostanzialmente fanno quel che vogliono.

I FLASHBACK

L’area 19 di Brodmann si trova nella corteccia visiva primaria; la sua funzione principale è quella di catturare le immagini nel momento in cui entrano nel cervello.

In condizioni normali, quest’area trasmette le informazioni in entrata alle altre parti del cervello, non le trattiene in modo significativo.

In condizioni di stress, sia al momento del fatto sia al momento del suo richiamo, l’attività dell’area di Borca decresce mentre l’attività dell’area 19 di Brodmann aumenta: il soggetto non è in grado di articolare verbalmente le emozioni e il vissuto, ma cattura le immagini dell’evento stressante, immagini che invece di essere trasmesse alle altre parti del cervello rimangono bloccate. Sono quindi destinate a tornare sottoforma di flashback anche molti anni dopo il fatto, e questo ritorno fa sì che il cervello attivi automaticamente alcuni comportamenti come se l’evento traumatico fosse nel presente.

Durante i flashback di un evento che è stato traumatico, il cervello aumenta la sua attività in modo particolare nell’emisfero destro (intuitivo, emozionale, visuale, spaziale e tattile), mentre vi è una riduzione significativa di apporto di ossigeno e quindi di attività nell’emisfero sinistro (linguistico, sequenziale e analitico; inizia la sua attività quando i bambini cominciano a comprendere e a usare il linguaggio). Tale inattività si traduce nell’incapacità di tradurre in parole le emozioni e le percezioni, e di organizzare l’esperienza traumatica in modo ordinato, sequenziale.

Siccome l’emisfero sinistro non lavora come dovrebbe, quando il ricordo dell’esperienza traumatica torna, l’emisfero destro del cervello fa da padrone e istruisce il corpo a reagire esattamente come se il trauma fosse nel presente: il soggetto traumatizzato non è consapevole che si tratta di un ritorno di qualcosa che è nel passato, finendo così per manifestare all’esterno reazioni immediate quali rabbia, terrore, vergogna e anche paralisi. La lingua, intanto, è stata tagliata.

– Bambino, perché non parli? Ti hanno tagliano la lingua?
– Sì.
– Se ti hanno fatto così male, perché non lo hai detto subito? Perché hai aspettato così tanto?
– Perché la lingua, subito dopo, era a terra. Poi ho cercato tante volte di raccoglierla e di riattaccarla nella mia bocca, ma lei cascava sempre.  

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