Cosa succede quando un luogo nel quale abbiamo vissuto cessa di esistere? Cosa succede a ciò che in quel luogo ha preso vita? È accaduto davvero o è stato un sogno?
Questo è il succo delle ultime cose che io e Luca ci siamo scritti. Poi più nulla.
Era il 2016 e la sua prima mail aveva come oggetto “Estate ’94”. Mi scriveva, Luca, che aveva letto “Va bene anche così”, un mio racconto pubblicato su Nazione Indiana, e che quella Mirfet che lui aveva conosciuto nel ’94 sperava fosse la Mirfet autrice. Non ho tardato a rispondergli, a dirgli sì, sono io.
Estate del 1994. Mio fratello era morto a febbraio di quell’anno e io, per amore e stordimento e dolore, non ne parlavo con nessuno. Un silenzio durato più di vent’anni.
Viaggiavo per lo più in treno, e di notte. Per chi è già solo, andare in vacanza da soli non è di per sé chissà che traguardo. Non era la prima volta che andavo al mare in quella località e quindi conoscevo diverse persone del posto. Ma Luca non era del posto.
Era un marinaio in servizio di leva e non ricordo niente di come ci siamo conosciuti. Quando la mattina scendevo in paese, per accedere alla spiaggia passavo davanti al luogo militare dove lui, insieme ad altri, risiedeva. Era un edificio piuttosto piccolo e bianco, ma dalla sua posizione, nelle retrovie, sembrava tenere uno sguardo fisso davanti a sé, e così comandare il mare.
In che modo io e Luca abbiamo iniziato a parlare? Chi ha fatto il primo passo? Vorrei ricordare, ma la mia memoria dice che ne devo fare a meno.
Ricordo che mi disse che il suo servizio di leva era iniziato più tardi rispetto a quello dei colleghi per via dei suoi studi universitari. Ricordo che parlavamo molto di libri. Non ricordo nulla del suo viso, ma ricordo perfettamente la sua postura contro quel cancello dal quale non l’ho mai visto uscire: una delle braccia un po’ sollevate e con la mano stringeva il ferro, il busto in avanti per quanto possibile, la testa leggermente inclinata di lato. Ho quindi un corpo ma non ho il suo volto. E ho il ricordo, un ricordo vago e fragile, di un bacio.
Nello scambio di mail del 2016 gli ho scritto che, per puro caso, qualche anno prima ero passata di nuovo per quella località e che avevo trovato il molo, dal quale negli anni 90 mi tuffavo senza paura con i ragazzi del posto, totalmente cambiato; l’unica cosa che è rimasta identica, gli ho scritto, è proprio quell’edificio e quel cancello.
Ma dopo, quando ho cercato di capire come fosse andata a finire, e cioè della sua vita di oggi, Luca non mi ha più risposto. Ho provato a scrivergli altre due volte, a distanza di qualche anno, ma senza successo.
Quando le persone spariscono, non spariscono mai del tutto. Esistono in altra forma oppure altrove, semplicemente. Chi è morto vive nel ricordo di chi è sopravvissuto, anche se non basta, non basta mai mai mai. Chi è vivo, è vivo da un’altra parte e conduce la sua vita, e spesso non c’è modo di recupare quel filo ed è amaro ammettere che, in fondo, forse non avrebbe alcun senso farlo.
Ma se a sparire è un luogo, cosa succede a ciò che lì è accaduto? Se il luogo muore, il fantasma siamo noi?