Certi talenti [#20]

Oggi pensavo all’Isola d’Elba. Pensavo cioè a una bambina che l’anno scorso ho visto più volte in spiaggia e poi una sera a passeggio con i suoi genitori. La bambina, che avrà avuto all’incirca 9-10 anni, aveva chiaramente la struttura fisica di una piccola atleta e, mettendo insieme alcune sue acrobazie che avevo avuto modo di osservare, ho pensato a una ginnasta. Una campionessa in divenire. E mi è apparsa serena, sicura di sé persino davanti agli adulti. Solo quando giocava con il fratellino più piccolo, direi di 3-4 anni, mostrava un po’ di incertezza dovuta forse al timore che suo fratello potesse farsi male.
Ho pensato a lei, oggi.

E poi ho pensato a mia figlia e al viaggio che ci apprestiamo a fare, un viaggio che è la nostra risposta a un suo interesse e talento che vuole approfondire. E ho pensato che se il prossimo anno o quello ancora dopo volesse esplorare altro di sé, io farò tutto ciò che è in mio potere per darle la possibilità di provare, di esplorare i suoi talenti nel momento in cui sono pulsanti, pieni di vita.

E poi ho pensato che se una persona è impegnata a sopravvivere alla sua stessa vita – una vita decisa da altri, da forze più grandi  – allora non ci sono talenti vivi, bensì talenti morenti. Annaspano nell’attesa di venire scoperti, diciamo salvati. Ora, immagino, se una persona che per 20-30 anni della sua vita è stata impegnata a sopravvivere e poi, a un certo punto, non lo è più, e può quindi iniziare a vivere e, immagino, a 40-50 anni scopre finalmente quel o quei talenti – ancora vivi seppur mal ridotti, e certamente increduli -, io quella gioia adulta la immagino mista all’amarezza del dolore e alla sensazione di soffocamento del tempo passato. Se la soddisfazione e la felicità non possono essere piene, allora cosa sono esattamente? Che nome si può loro dare? È un terreno insidioso, immagino, una piccola palude attorno a un ombelico già nascosto.

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